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13 marzo 2018

Fufu, Idy e Davide. E noi

fisico e ricercatore



Il 21 febbraio 2018 un piccolo gruppo di ragazze e ragazzi (“Arte Migrante”), italiani e no, scrive su facebook “Loubane Fouad (Fufu) è morto questa notte. Fufu era un giovane di 32 anni, amico e fratello, artista e musicista, residente in Italia e di origine marocchina. Fufu non aveva una fissa dimora, da anni viveva nelle ex Officine Reggiane. È scandaloso che nel 2018 alcune persone a Reggio Emilia trovino come unica soluzione abitativa le ex-Reggiane, mettendo in pericolo la propria vita. Vogliamo portare il nostro sdegno per le vie della città accogliente che viviamo e vogliamo. Invitiamo tutta la cittadinanza di Reggio a ricordare Fufu e le decine di persone che si trovano ogni giorno marginalizzate, stasera in una fiaccolata umana e solidale.

“Ovviamente” la fiaccolata umana è stata partecipata da un piccolo gruppo di persone. La notizia è transitata rapidamente sui media, scomparsa presto e sostituita da tante altre morti, soprattutto violente. Un po’ più di clamore lo ha suscitato l’uccisione di un ambulante senegalese a Firenze, pochi giorni dopo. Per mano di un pensionato italiano che ha “motivato” il gesto come “alternativo” all’intenzione di suicidarsi: ha preferito togliere la vita a un’altra persona, scelta a caso, come se quest’ultima espressione avesse un senso. Anche questa notizia ha presto raggiunto i margini dell’informazione, mantenuta in vita prevalentemente dalla espressione dello sdegno della comunità africana fiorentina.
Due fatti che interrogano su che valore abbia, che valore diamo, alla vita di una persona, e alla sua perdita. 

Una parziale risposta arriva da un terzo evento, la morte di un altro ragazzo poco più che trentenne. Ma questi, stavolta, è una persona famosa, ricca, in un circuito ancora più ricco, un campione del calcio italiano. È una morte come le altre, certo. Ma anche no. Qui i media si “scatenano”, la comunità locale e nazionale partecipa al rito funebre che ha dimensioni complesse e articolate (veglie, edizioni speciali, le lacrime di tanti del suo circuito sociale, e dei tanti popoli – della tv, del web, delle curve, delle città, …- funerali degni di una celebrità, scuole e disegni di bambini, approfondimenti “sociali”, medici, associazioni internazionali di football che intitolano, ricordano, celebrano). La maglia numero 13 ritirata, e tante altre iniziative che renderanno la vita e la morte di Davide una icona intramontabile. 
Davide, un ragazzo che sapeva giocare bene a pallone, che guadagnava come 100 operai, o insegnanti precari. E Fufu, un ragazzo che sapeva suonare bene la musica, e non aveva fissa dimora e “regolare” vita.

Domenica i campionati sono ripresi dopo un commovente minuto di silenzio osservato su tutti i campi da gioco, altre lacrime, e magliette con il volto di Davide. Invece, negli enormi ex-capannoni delle ex-Officine Reggiane, tornano a stabilirsi di nuovo senza tetto e senza documenti, ora che la temperatura è risalita, mentre a due passi procede di buona lena la costruzione dei nuovi edifici e ampi parcheggi per servizi di eccellenza (il Parco Innovazione di Reggio Emilia): operai (in là con gli anni, di origine non italiana quasi tutti) manovrano rumorose macchine, spruzzano bitumi puzzolenti.

Appare come se la riflessione sulla vita e la morte trovasse “albergo” solo quando, e dove, “l’albergo” risulti di lusso. La vita deve rispondere a canoni di eccellenza; la morte, per rientrare nella nostra considerazione, pure. 
Qualcosa, qualcosa ci è sfuggito di mano, e rischiamo di perderlo per sempre.


Marco è mio cugino, ed io mi sento onorata e fortunata. Per i suoi pensieri, per il suo cuore. 





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